“2024: l’anno del riscatto”
Questo, in sintesi, potrebbe essere il sottotitolo di ciò che è andato in scena sulle strade della Sportful Dolomiti Race domenica 16 giugno 2024, sia per me che per il Capitano (aka mio fratello Michele). Per me, che arrivavo da un’amara e pesante delusione dell’anno scorso quando, giunto allo scollinamento della prima salita di Cima Campo decisi di girare la bici e tornare a Feltre, con un magone in gola ed un peso enorme sullo stomaco, ma anche per mio fratello che dopo un lungo periodo di stacco dalla bici durato qualche anno, è tornato a mettere il numero sulla schiena.
La partenza per Feltre è per sabato pomeriggio, io è già una settimana che ho l’ansia che si manifesta nei modi più classici, in particolare sonni brevi e agitati, il tutto accompagnato da una dolorosa infiammazione al tendine del sovraspinato che ha iniziato a farsi sentire un paio di settimane prima e che mi ha costretto ad una decina di iniezioni di Voltaren e Muscoril, per cui le due settimane che hanno preceduto la gara le ho passate in sostanziale riposo a parte qualche sessione di rulli. Quest’anno il percorso sarà completamente nuovo a parte l’ultima salita di passo Croce d’Aune, due salite (passo Duran e forcella Staulanza) le ho provate un mese e mezzo prima con l’amico Fabio senza portare a casa ottime sensazioni (anzi) e l’idea che comunque quelli erano i punti critici della corsa, per cui avevo in testa anche l’incognita di come sarebbero stati questi 200km nella loro interezza. Ammesso e non concesso di riuscire a fare il lungo.
Arriviamo a Feltre e se già a Verona il meteo non era dei migliori, con cielo coperto, qui è ancora peggio con le cime che circondano il paese in parte nascoste da nuvole basse, mentre altrove è il blu cupo a dominare. Procediamo con il ritiro pacchi gara, maglietta non disponibile nella taglia e poi ci avviamo verso il solito albergo a Lamon dove, verso le 21, inizia a piovere.
La notte la passo, come sempre, completamente insomme (mi dico sempre che devo lavorare su questo aspetto ma alla fine non faccio niente e mi trovo nelle stesse situazioni), ascoltanto i tuoni di un lungo temporale e la pioggia che cade copiosa quasi fino all’ora della sveglia, puntata alle 4.20. Breve colazione, ultimi preparativi e via, di nuovo a Feltre.
Alle 6.40 circa siamo in griglia, la tensione è alta tanto che sento un calo di pressione che mi costringe a lasciare la bici a mio fratello mentre mi piego verso terra per recuperare un po’. Eravamo d’accordo con Fabio per salutarci prima del via ma non lo vediamo.
3 2 1…si parte. Gli anni scorsi, con il percorso precedente, la partenza era forse piu’ tirata (sebbene sempre meno delle altre granfondo), complici le strade ampie che portavano fin sotto all’attacco di Cima Campo, qui invece si passa per il paese, la strada è piu’ stretta e attraversa a seguire altre località, senza una salita principale vera e propria per una trentina di chilometri dove si inizia forcella Franche con già un bel dislivello nelle gambe. Nel frattempo incontriamo Fabio e facciamo con lui qualche km, poi nel gruppo perdo sia lui che mio fratello, anche se quest’ultimo lo rivedo successivamente (poi lui andrà a fare il corto) mentre Fabio lo vedrò all’inizio dello Staulanza per riperderlo definitivamente, ma ognuno va al proprio ritmo com’è giusto che sia ed io vado preservando al massimo ogni sforzo, infatti arrivo all’inizio della salita ai 25km/h di media con una potenza di 193W medi.
Forcella Franche
La salita di forcella Franche passa abbastanza in fretta, la danno per lunga ma in realtà si tratta di 5km a pendenza tutto sommato non impossibili. Però il dubbio se fare il lungo o il corto si fa avanti nella testa, perchè le gambe non girano come vorrei (e come giravano le settimane precedenti, lo stop di due settimane si fa chiaramente sentire). Dubbi che lasciamo momentaneamente il posto allo sgomento quando, all’inizio della discesa, vedo un ciclista a terra che ha impattato contro un’auto che saliva in senso opporto, distruggendo il parabrezza: la dinamica sarà chiara solo al tardo pomeriggio quando un altro ciclista mi darà notizie (poi confermate dalla stampa) che sono stati tre i ciclisti infortunati, colpiti dall’auto guidata da una vecc…anziana str…signora che, nella fretta di andare a messa ha forzato ben tre posti di blocco dei volontari. Al termine della discesa c’è il bivio corto/lungo e io non so ancora cosa fare…scherzosamente ma non troppo, passando velocemente, chiedo ad un volontario la sua opinione ma lui non capisce e alla fine mi dico “fanculo, lungo sia, al limite torno in autobus…Duran e Staulanza li ho già fatti, non starò certo peggio di un mese e mezzo fa…”.
Passo Duran
Ovviamente, come si suol dire, il diavolo si nasconde nei dettagli, ed in questo caso si nasconde nel fatto che la gamba no, non è quella di un mese e mezzo prima, per quanto allora fosse un po’ meno allenata, lo stop ed i farmaci hanno avuto sicuramente un impatto negativo, e si fanno sentire. Il passo Duran non è impossibile, ma è ostico dall’inizio alla fine con i suoi 12km a 8.2% di pendenza media praticamente costanti, tanto che come ho scritto in un messaggio verso casa “ho girato per il lungo, ma la testa è già sul bus”. Mi costringo ad ingoiare il rospo dell’orgoglio e mi fermo durante l’ascesa per una brevissima pausa, quasi più mentale che fisica: o così e continuo a provarci o devo davvero mollare, e questa sarebbe una sconfitta ancora peggiore. Una, due, tre volte…non importa ci devo provare. Mi distraggo guardando il panorama, le vette circostanti nascoste dalle nuvole minacciose e altre zone di cielo terso. Arrivo in cima al passo Duran con una potenza media di 193W, a cavallo tra la Z2 e la Z3 nonostante le soste. Poi inizio la breve discesa verso Dont, talmente breve che si fa fatica a recuperare ed infatti quando l’ho fatta la prima volta ho patito il poco recupero tra Duran e Staulanza.
Forcella Staulanza
Arrivati a Dont si gira a sinistra e subito la strada inizia a salire, costante, attorno al 7%, ed infatti mostra nei suoi quasi 13km di lunghezza una media del 6.7% complice un breve tratto pianeggiante di circa 500m nel mezzo. Anche questa salita, a parte il primo tratto piuttosto trafficato, è molto bella, con bei boschi e panorami che aiutano ad affrontare la salita. Mi costringo ad un paio di soste e a fermarmi al ristoro, però arrivato in cima, con una media di 184W, inizio a pensare di potercela fare, e di riuscire di arrivare a Feltre sulle mie, seppure stanche, gambe.
Fatta la discesa si arriva in valle agordina, che come un mese e mezzo prima presenta un fortissimo vento contrario, ma per fortuna trovo qualcuno con cui affrontarla, almeno in alcuni pezzi, per cui anche se in leggero falsopiano a scendere è sempre comunque necessario pedalare.
Forcella Aurine
L’ascesa successiva di forcella Aurine è la più facile tra quelle di giornata, con 11.5km al 6.1% medio, ma con un tratto intermedio di un paio di km al 3% che consentono di recuperare. All’inizio della salita c’è il secondo cancello orario, che mi aveva messo un po’ di apprensione, ma arrivo con un’ora di vantaggio, sfilo quindi con soddisfazione il parcheggio con gli autobus dell’organizzazione. Anche questa salita passa abbastanza bene, tanto che mi sono fermato solo al ristoro alla fine. Allo scollino ritrovo l’atleta paralimpico che ho avuto modo di vedere ad una Nove Colli qualche anno prima e nel 2022 sempre alla Sportful sul Passo Rolle, e non posso esimermi dallo stringergli la mano e a complimentarmi con lui: io persona normodotata non riesco a tenere il ritmo in salita di questo ciclista che pedala con una gamba sola. Unica nota da segnalare è la puntura, credo di un’ape, su un labbro, che mi ha costretto a chiedere ad un’addetta di togliermi il pungiglione rimasto attaccato e ad un sanitario in cima al successivo passo Cereda di controllare che fosse tutto ok: subito dopo la puntura ho temuto una qualche reazione allergica che mi costringesse al ritiro, ma fortunatamente i chilometri hanno fatto scemare le paure.
Passo Cereda
Passo Cereda è praticamente un proseguo di forcella Aurine, perchè inizia dopo una discesa senza alcun tratto pianeggianete o in falsopiano intermedio. Ormai le poche energie devono essere dosate con il contagocce, e la salita, nella sua bellezza tra boschi e pascoli con le mucche che fanno risuonare i loro campanacci, ha tratti davvero ostici, dove anche l’atleta paralimpico che nel frattempo ho raggiunto (ma non riesco a superare) esprime verbalmente il suo dissenso, dissenso che le campane di una chiesa vicina cercano di sovrastare. Rallento un po’, poi mi fermo per far passare un’auto che non riusciva a superare nonostante lo spazio a disposizione temendo che mi potesse buttare per terra, e alla fine sono sul passo dove un senso di commozione mi prende la gola: accendo la app di tracciamento “glimpse” che consente di vedere da remoto alcuni dati e la posizione, in modo che le persone a casa sappiano che sto bene e che sono in direzione del traguardo: mancano ancora “solo” 50 km.
Al termine del passo inizia la lunga discesa verso il passo Croce d’Aune, discesa che porta a Fiera di Primiero dove si collega con la strada che scendeva dal passo Rolle negli anni prima. Qui ho la fortuna di trovare un bel gruppone (cui poi darà una mano anche una moto staffetta), al quale mi accodo e che ad una media di quasi 40km/h mi porta fin sotto l’attacco dell’ultima ascesa senza dover tirare “troppo”. In realtà fatica la si fa comunque, un po’ perche’ c’è un forte vento contrario (come al solito), un po’ per il traffico ed un po’ perche’ un ciclista olandese decide di avvisarmi che il giubbino nella tasca posteriore era, a suo avviso, a rischio di essere perso e quindi inizia a sistemarlo…il che significa smettere di pedalare, perdere il contatto con il gruppo e dover poi chiudere il buco con una sparata a 500/550W: forse era meglio perdere il giubbino per strada 🙂
Passo Croce d’Aune
Quando arrivi all’attacco del Croce d’Aune ormai è come il Gorolo della Nove Colli (quando c’era): è duro, arriva dopo quasi 180km e tante salite fatte, ma sai che è l’ultimo ostacolo verso il traguardo, quindi lo affronti con l’animo in pace e la mente leggera. Le gambe, invece, non sono dello stesso parere. Mi fermo a riempire la borraccia alla fontana del lavatoio, una sorta di rituale, scambiando due parole con un paio di ciclisti formalmente di Trieste, ma di uno dubito l’origine giuliana (infatti mi dice essere siciliano) e riprendo l’ascesa. Anche quest’anno mi frega…non so perchè ma dimentico sempre che inizia sì in modo abbastanza impegnativo, ma che sono gli ultimi km a rendere problematica questa salita: interessante come il tratto più ostico sia dopo il cartello “Welcome to Salzen”…e viene da pensare che se questo è il benvenuto…Mi fermo anche qui ad un paio di km dal passo, ma poi arrivo in cima e poi giù in discesa: Feltre mi aspetta.
L’arrivo
Gli ultimi chilometri sono sempre un concentrato di emozioni: i cartelli che mostrano la distanza residua non sono più schiaffi ma carezze, spingo più forte che posso, ad un certo punto voglio raggiungere un gruppo che ho davanti ma poi mi dico “no, arrivo da solo così vengo meglio nelle foto”. Il cartello “Ultimo km” lo vedi come un bicchiere d’acqua fresca in mezzo al deserto, è lo stesso che hai visto il sabato andando a ritirare i pacchi gara, ma la domenica assume tutt’altro valore e peso. Ultima rampa, l’arrivo, mio fratello a bordo strada che mi incita urlando assieme a Fabio (arrivato pochi minuti prima), l’arrivo. Anche stavolta, sebbene in qualche maniera, sono riuscito a portare a casa il lungo della SDR.
Conclusioni
“Allora sei soddisfatto ? Contento ?”. Ovviamente sì, come ho scritto in precedenza io e il ciclismo non siamo fatti l’uno per l’altro, per me è sempre tutta una gran fatica e nonostante l’impegno che cerco di metterci i risultati sono sempre scarsi, ma con questo ho fatto pace da anni e raccolgo quel poco che riesco con gioia francescana. Certo, le premesse fino ad un paio di settimane prima erano un po’ migliori e onestamente il dovermi fermare sulle salite non mi ha fatto molto piacere, ma è stato il compromesso per riuscire a non salire sul bus ed il conseguente ritiro.
“E’ più duro il percorso vecchio o questo nuovo ?”. Non saprei dire, secondo me sono due tipi di gare diverse. Il vecchio percorso era fatto di salite più lunghe, il passo Rolle dava modo di respirare nel tratto intermedio, c’erano poi i tratti tra le salite che davano ulteriore modo di scaricare, sia andando verso il Manghen, sia la val di Fiemme (sebbene in falsopiano a salire) e poi la discesa dal passo Rolle in modalita’ MotoGP, il nuovo percorso parte con un lungo tratto nervoso, le salite sono più corte ma ad esempio la discesa a Dont è corta e subito si riparte a salire per lo Staulanza. Di certo i panorami del nuovo sono più belli (tolte le pale di San Martino dal Rolle), il grosso problema sarà in caso di giornate calde perchè non salendo mai oltre i 2000m di quota tutte le parti in valle diventeranno dei forni.
Ad ogni modo sono convinto che l’anno prossimo andrà meglio perchè si’, la settimana prima del via e in particolare il sabato bestemmi e maledici il giorno in cui ti sei iscritto, ma una volta che scollini il Croce d’Aune pensi già all’anno dopo, magari a fare il lungo in compagnia del Capitano.
Il Pagellone
Sicurezza: 10 – Sebbene le strade in Veneto siano mediamente con un fondo stradale peggiore di quelle trentine, tutto sommato non ho rilevato grossi problemi. L’incidente non è colpa dell’organizzazione, gli addetti c’erano e semplicemente sono stati saltati dalla vdm. Traffico sostenuto solo nel tratto da Fiera di Primiero all’attacco del Croce d’Aune, ma non ci si può fare molto, sicuramente ce n’era molto di piu’ sul Manghen, in val di Fiemme, sul Rolle e sulla successiva discesa, ed è comprensibile come le autorità fatichino ad autorizzare le chiusure molto lunghe di nodi viabilistici così importanti. Quest’anno, invece, essendo comunque strade meno battute dai merendero su auto e moto, era tutto molto più tranquillo
La mia gara: 10 – Di più non avrei potuto fare, con tutti i se ed i ma mi sono allenato tanto, ho dato tutto quello che potevo e ho raggiunto il mio obiettivo, e finalmente posso indossare la maglia dell’anno scorso (visto che quella di quest’anno non era disponibile) che era rimasta nel cassetto non sentendomi autorizzato a metterla.
Organizzazione: 10 – Oltre a quanto detto per la sicurezza, la Sportful Dolomiti Race si conferma in vetta alle migliori organizzate. Dal ritiro pacchi gara al pasta party finale è tutto rapido (certo, quando arrivo io gli 8/10 dei partecipanti ha già mangiato…), i ristori sono abbondanti, festosi, gli addetti sono tantissimi e ti accolgono sempre con il sorriso nonostante le ore trascorse li ad aspettare. Tanti anche i mezzi dell’organizzazione, dei sanitari e delle scorte tecniche che sfilano mentre pedali, segnale di una costante attenzione ai partecipanti.
Mio fratello: 10 e lode – dopo anni lontano non solo dalle gare, ma anche dalla bici, non è facile ripartire. Servono una forza di volontà ed un impegno non comuni, e portare a casa il corto della Sportful è come finire il lungo di tante altre granfondo.
I video con i test delle due salite fatte con Fabio
Test salita forcella Staulanza